Lavanderia Facchini di San Benedetto Po: fermare lo sfruttamento, difendere il lavoro. Tocca a noi.

La vertenza delle lavoratrici della Lavanderia Facchini di San Benedetto Po (Mn) non si ferma. Da tre settimane infatti prosegue la raccolta firme di solidarietà che vede impegnate le ex dipendenti della Lavanderia, la FIT-CISL e l’associazione eQual. Tra mercati dei paesi vicini, fabbriche del territorio, circoli Arci e vari esercizi commerciali sono già state superate le seicento firme e numerose sono state le dimostrazioni di solidarietà. Ripercorriamo qui le tappe successive al nostro primo aggiornamento di ottobre per capire le ragioni e gli sviluppi di questa importante iniziativa.

IL LICENZIAMENTO CONSENSUALE

Dopo che a ottobre il rappresentante della cooperativa con l’appalto all’interno della Lavanderia aveva comunicato a voce la cessazione della produzione, è iniziato un periodo di disoccupazione per i 55 lavoratori, in maggioranza donne, senza il sostegno di alcun ammortizzatore sociale.

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Il presidio durante con l’incontro cooperativa-sindacati del 24 novembre.

Il 24 novembre si è svolto un incontro tra i rappresentanti della Cogest 2013 (la cooperativa) e i rappresentanti sindacali presenti in azienda (FILCTEM-CGIL e FIT-CISL). All’esterno della sala il presidio organizzato per dimostrare la volontà dei lavoratori a non accettare accordi al ribasso ha registrato un’ottima partecipazione tra le lavoratrici, supportate anche da attivisti provenienti dalla città. La prima ricaduta pratica della mobilitazione è stata l’imposizione che la concertazione sindacale si svolgesse in loco con tempi certi e in presenza di delegati sindacali di tutti i sindacati e di lavoratrici dello stabilimento, al contrario delle occasioni precedenti.

Il licenziamento consensuale proposto dalla cooperativa sarà accettato il giorno dopo l’incontro solo dalla rappresentante CGIL: una buonuscita economica, senza più alcun diritto sui diritti pregressi. I rappresentanti della FIT-CISL hanno invece ribadito e concordato con i rappresentanti della cooperativa l’esigenza di un nuovo incontro a due giorni di distanza per una più attenta valutazione delle condizioni necessarie per la tutela delle lavoratrici (qui articolo Gazzetta di Mantova). Questo anche per evitare che un accordo frettoloso potesse agire da sanatoria sugli errori commessi dalla cooperativa nella compilazione delle buste paga, come già avvenuto nel passato: parti di TFR (Trattamento di Fine Rapporto) al posto dello stipendio, errato conteggio delle ore mensili, impiego non chiaro della “banca ore” (ore-tampone cumulabili usate per mantenere intatto lo stipendio anche in assenza di commesse: capitava però che queste venissero scalate anche durante i periodi di lavoro a pieno regime).

L’incontro richiesto dalla FIT-CISL non ha però mai avuto luogo. Riportiamo le parole di Jenny Maestrini: « non condividevamo il contenuto dell’accordo raggiunto dalla rappresentanza CGIL e della cooperativa. Era perciò necessario riformulare le condizioni per tutelare meglio i diritti delle nostre iscritte. La Cogest però ha completamente disatteso l’accordo del 24 novembre non ripresentandosi al tavolo per rivedere le condizioni (annullando l’incontro pochi minuti prima del suo inizio). Ad una ulteriore richiesta formale di incontro non è stata data alcuna risposta e da allora non c’è stato nessun altro incontro.»

IL RIFIUTO DELLA CASSA INTEGRAZIONE E IL RI-COLLOCAMENTO FUORI PROVINCIA

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17 dicembre 2014 – Prima giornata di sciopero

La cooperativa è stata definita più volte “associazione a delinquere” dai lavoratori per le condizioni di lavoro imposte e ha confermato la propria fama affossando la domanda di cassa integrazione avanzata dai lavoratori ancora formalmente assunti. La cooperativa ha motivato la propria decisione insieme all’intimazione a presentarsi al lavoro presso altri siti produttivi fuori provincia come Milano, Brescia e Genova, senza alcun rimborso spese. Il 17 dicembre, ad un’ulteriore intimazione della cooperativa con sede a Roma a presentarsi in servizio(con una proposta di rimborso pari a 20€ per Milano) i lavoratori decidono di entrare in sciopero, con un presidio davanti al municipio di San Benedetto, fino alla scadenza del contratto (31 dicembre), per impedire ritorsioni e sanzioni disciplinari/licenziamenti.

Il 20 dicembre, nel corso della commemorazione del 70esimo anniversario della Battaglia partigiana di Gonzaga, una delegazione di lavoratrici della lavanderia partecipa insieme agli attivisti di eQual alla cerimonia con uno striscione per affermare la continuità tra la lotta partigiana del passato e la lotta attuale per un’Italia basata sulla giustizia sociale anziché sulla sopraffazione.

LA CAMPAGNA DI SOLIDARIETÀ

E’ tra la fine del 2014 e l’inizio del nuovo anno che le lavoratrici decidono di proseguire la mobilitazione con il sostegno di eQual e della FIT-CISL: si sparge infatti la voce che la lavanderia, dotata di macchinari molto moderni e di un vasto portafoglio clienti, possa riaprire sotto un’altra gestione, proprietaria o appaltante, risparmiando ancora di più sulla retribuzione oraria dei dipendenti, ergo rendere ancora più umilianti le condizioni di lavoro. Il frequente viavai dallo stabilimento di imbianchini, giardinieri, tecnici, di alcune dipendenti di un’altra cooperativa (che aveva già precedentemente gestito la lavanderia) hanno reso le voci molto più consistenti. Da segnalare anche il fatto che un annuncio per l’assunzione di un magazziniere tessile in zona San Benedetto Po riporta il numero della partita IVA dell’azienda “Coopera”, un consorzio di cinque realtà di cui fa parte anche “Laserra società cooperativa” che già per un breve periodo aveva avuto in in appalto la produzione all’interno della Lavanderia (qui lo screenshot).

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La conferenza stampa di lancio della campagna di solidarietà

Il 10 gennaio durante una partecipata conferenza stampa è stata così ribadita la volontà di proseguire il percorso di difesa del posto di lavoro con una raccolta firme per sensibilizzare la cittadinanza e riceverne la solidarietà. Le rivendicazioni sono chiare e precise: si chiede l’applicazione del contratto nazionale di categoria (cosa mai avvenuta negli ultimi tre anni), la riassunzione diretta delle ex-dipendenti senza l’intermediazione delle false cooperative e la fine delle discriminazione d’età con la tutela delle lavoratrici più anziane (definite “bolse”, termine spregiativo per indicare le lavoratrici quando diventano meno “produttive”). Si pretende inoltre la fine della discriminazione delle lavoratrici straniere attraverso il ricatto del permesso di soggiorno e la conseguente guerra al ribasso tra le lavoratrici a solo vantaggio della proprietà.

DIVISI SIAMO NIENTE, UNITI SIAMO TUTTO

La raccolta firme ha avuto una buona risonanza ed è attualmente in svolgimento. Oltre ai diversi momenti di raccolta nelle piazze dei paesi del circondario la raccolta si è attivata in diverse fabbriche vicine, circoli ed esercizi commerciali di San Benedetto Po, Quistello e Pegognaga. Ogni piccolo passo è una conquista resa possibile grazie all’impegno diretto e alla coordinazione delle lavoratrici, dei sindacalisti, degli attivisti e dei cittadini solidali che ritrovano la motivazione di fare comunità. E’ una battaglia dura e lunga attraverso la quale è però possibile ricostruire quei legami di solidarietà e giustizia sociale che un tempo erano pratica diffusa nell’Oltrepò e tra i suoi abitanti. La campagna non è ancora terminata e la lotta per la riassunzione si preannuncia densa di nubi, ma in questi due mesi tante cose insperate sono state organizzate e la pratica rafforza la fiducia nei propri mezzi. La solidarietà e la partecipazione sono muscoli che vanno allenati, soprattutto di fronte al dilagare di una crisi che riguarda la maggioranza del Paese. Per questo continueremo a sostenere la vertenza delle lavoratrici Facchini e a diffondere aggiornamenti e a promuovere partecipazione.

Un torto fatto a uno è un torto fatto a tutti. Anche a San Benedetto Po.

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