Documentario: la salute negata, il futuro contaminato

Ecosin, canale web dedicato a temi ambientali, ha realizzato un documentario sulla situazione del SIN (Sito di Interesse Nazionale) Laghi di Mantova/Polo Chimico; durante le riprese, come eQual, abbiamo aiutato la troupe ad orientarsi nella “nebbia” (atmosferica e metaforica) che ammanta il tema partecipando anche alla sua realizzazione. Dopo un paio d’anni di “peripezie” tipiche per chi fa giornalismo d’inchiesta in un Paese come l’Italia, il filmato è stato pubblicato online nei giorni scorsi.

Quando nel 1946 venne presa la decisione di costruire a Mantova un polo chimico nessuno pensava ai danni che tale insediamento avrebbe provocato all’ambiente. Ora siamo di fronte a un progressivo declino che dura da decenni, pagato a caro prezzo dallo Stato italiano come sostegno alla produzione (che per farlo usa ovviamente le tasse dei suoi cittadini) e pagato soprattutto con la vita di chi ci ha lavorato e di chi vive attorno a quell’area. Galleggiando su un lago di surnatante fatto di idrocarburi, a suon di ricatti occupazionali e con la “promessa” di bonifiche ferme all’1% dell’area, chi fa profitto continua a farlo opprimendo la città e mortificando i lavoratori di tutta l’area che occupa il 15% del suolo comunale con le sue sedici aziende.

Documentari come quello girato da Ecosin, servono a smascherare il sistema di aggressione del territorio a scopo di rapina che lascia sul campo inquinamento, disoccupazione e degrado. È il capitalismo feroce e straccione che la politica ha servito e riverito negli ultimi due decenni.

Montedison: una sentenza storica?

img792Montedison: un processo carico di aspettative e una sentenza che, ci dicono, essere storica. Dopo 14 anni di indagini e perizie e di processo penale, il giudice ha emesso nel tardo pomeriggio del 14 ottobre la sentenza sulle 73 morti nello stabilimento ex Montedison di Mantova, provocate, secondo l’accusa, dai veleni scaturiti dalle varie lavorazioni chimiche. Dieci dei dodici manager imputati sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio colposo di undici operai, quelli che si sono ammalati di mesotelioma per l’esposizione all’amianto. Per la prima volta in Italia è stato accolto il nesso di casualità tra esposizione al benzene e l’insorgere di leucemia.

Qualcuno afferma che finalmente giustizia è stata fatta: a noi sembra, pur nella sua rilevanza, una giustizia a metà. Lo è per il riconoscimento di 11 omicidi su 73 casi e per il mancato riconoscimento del dolo per omissione di cautele. Lo è perché ci piacerebbe, per una volta, che ci fosse una seria analisi del sistema produttivo di allora, ma in larga parte non molto distante da ciò che avviene oggi; un sistema nel quale la vita delle persone vale meno dei profitti.
Mancanza di cautele, scelte al ribasso nelle valutazioni del rischio per lavoratori e ambiente: tutto questo rende immediatamente esigibili i maggiori profitti, il resto –rischio di indagini e riconoscimento di colpevolezza- è affidato ad un semplice calcolo di probabilità, di solito molto scarse per la difficoltà di controllo e indagine, per i tempi e i risultati processuali che a volte si concludono dopo la morte degli imputati e quindi senza diretti colpevoli (vedi Eternit o Belleli); oppure con possibili responsabilità impassibili da far valere per continue trasformazioni societarie, rimpalli o ricorsi. Quando si tratta della vita delle persone e della salute dell’ambiente, le cautele e le attenzioni dovrebbero essere attivate prima, non dimostrate in sede processuale: troppo spesso assistiamo alla violazione del principio di precauzione e, quando questo principio non viene rispettato e fatto rispettare, si continuano ad incentivare iniziative economiche che mettono in pericolo la salute umana, animale e vegetale, nonchè la protezione dell’ambiente.

Ora ci chiediamo quale probabilità avremo, tutti noi, di vedere soddisfatto il nostro desiderio di giustizia circa le responsabilità per tutti quei veleni scaricati nell’aria, nell’acqua o affossati nel terreno in questi anni. Il rischio attuale è di continuare a pagare noi, con la nostra salute, ma anche con i soldi della collettività, che poi sono sempre i nostri, un ambiente contaminato la cui bonifica non viene attuata da chi dovrebbe farsene carico.

VelENI d’estate

veleniNegli scorsi giorni l’ENI ha annunciato un “ridimensionamento” della propria presenza in Italia con la riorganizzazione della raffineria di Gela e degli impianti di Taranto, Porto Marghera, Livorno e del petrolchimico di Priolo. Si parla di decine di migliaia di posti di lavoro a rischio nel medio termine; una crisi che potrebbe colpire anche i 4 mila lavoratori mantovani (compreso l’indotto di autotrasportatori, facchini, addetti pulizie etc.).
La Versalis, con sede in via Taliercio, a due passi dalla IES, è infatti una società chimica soggetta all’attività di direzione e coordinamento di Eni S.p.A, che gestisce la produzione e la commercializzazione dei prodotti petrolchimici provenienti dall’impianto di Marghera.  In più Versalis produce l’olone, sostanza che serve per produrre a sua volta i filati per le calze del distretto di Castel Goffredo e anche del Bergamasco. Da via Taliercio escono anche polistirolo e altri isolanti che servono all’edilizia; così le plastiche per realizzare oggetti di vario tipo e per rivestire i cavi elettrici. Le aziende dell’industria automobilistica di Castiglione e non solo si approvvigionano a Mantova di materiale plastico per stampare fanalerie e paraurti.
I sindacati hanno reagito a questo annuncio proclamando per il 29 luglio un imponente sciopero nazionale per i dipendenti della multinazionale, con manifestazione a Roma.

Questa operazione rappresenta molto probabilmente il primo passo per la definitiva privatizzazione dell’ENI, avviata nel 1995. Non è un caso che a capo di quella che è una delle più grandi multinazionali nel settore petrolifero sia stata nominata dal governo Renzi la “nostra” Emma Marcegaglia, che spingeva per la sua privatizzazione già nel 2011, proprio dopo il patteggiamento del fratello Antonio per milioni di euro relativi ad una tangente proprio al gruppo Enipower. Qualcuno ha creduto che, in quanto “donna del territorio”, la Marcegaglia avrebbe avuto un occhio di riguardo in questi tempi di crisi: sbagliato, gli squali fiutano la paura e sbranano di conseguenza.
Non è nemmeno un caso che pochi giorni fa sul quotidiano di Confindustria (Il Sole 24 Ore) si auspicasse un intervento del governo per cedere un’ulteriore quota del 5% “al mercato o a qualche altro fondo sovrano”. Il piano industriale che hanno in serbo per l’Italia Renzi e Confindustria.

Già nel 2012 al battesimo di Versalis si iniziava a parlare concretamente di “liberare risorse” per “risollevare gli stabilimenti in crisi” con esplicito riferimento a quelli italiani ed europei con un occhio di riguardo, a livello di investimenti, per quelli extra-europei. In quest’ottica può essere letto l’annuncio di Renzi relativo a investimenti pari a 50 miliardi di euro per  il gas del Mozambico.  Un settore strategico in cui il mondo occidentale fa a gara per accaparrarsi partnership con i Paesi emergenti. Le parole non sono nostre ma il: “Ci servono joint-venture per penetrare nei mercati del Medio ed Estremo Oriente, dell’America Latina e del sud-est asiatico. Così avremo presenza commerciale e poi, in una seconda fase, potremo valutare se insediare stabilimenti”  di Daniele Ferrari (nel 2012 ad) era già abbastanza esplicito. ENI sta indirizzando i propri investimenti in Paesi dove le legislazioni sui diritti del lavoro, le legislazioni ambientali e quelle anti-corruzione permetterebbero al colosso petrolifero di spremere al massimo nuovi territori e nuova forza lavoro. É la favola del “libero mercato che si autoregola”, certo, con un livellamento verso il basso di chi sta(va) meglio.

Così Gela è già in mobilitazione: l’annuncio di non volere riavviare l’attività produttiva della raffineria e di voler stracciare l’accordo (firmato solo lo scorso anno) che garantiva 700 milioni di euro di investimenti, ha portato a scioperi e blocchi stradali da parte di centinaia di lavoratori siciliani. Due giorni fa un nuovo colpo di teatro: Salvatore Sardo di ENI sostiene di non voler chiudere l’impianto di Gela, bensì di “riconvertirlo” alla produzione green investendo molto di più dei precedenti 700milioni di euro inizialmente previsti e poi cancellati. Le solite tattiche diversive fatte di annunci e contro-annunci.

Annunci e tattiche diversive anche a Mantova? E’ di febbraio scorso l’alleanza tra Eni, con il suo braccio Versalis, con Elevance Renewable Sciences per spingere sulla chimica verde, che l’assessore regionale Fava collocava già nel futuro del petrolchimico mantovano, IES inclusa.

Intanto di verde c’è ben poco in ciò che rimane sul territorio mantovano come una triste eredità del passato, come nei tanti siti che condividono con Mantova gli stessi percorsi industriali: tanti veleni, nell’aria, nel terreno e nell’acqua, testimonianza di azioni mirate agli stretti interessi economici anziché a quelli dei territori e dei cittadini: 200mila metri cubi di rifiuti di quella che in città chiamano la “collina dei veleni”; mille e ottocento fusti contenenti ciascuno 200 litri di fanghi mercuriosi cementati in due enormi vasche, il terreno impregnato di mercurio liquido sotto la ex Sala celle e infine altri 4 o 5 quintali di sali solubili di mercurio depositati sul fondo del canale Sisma. Inquinamento che risale per lo più agli anni ’60 e che è ancora tutto lì, all’interno del perimetro a quei tempi Montedison. E che, dopo una serie infinita di studi, consulenze, convegni, ricorsi e controricorsi, rischia di rimanere lì per chissà quanto.

Questi veleni, come quelli scaricati nell’aria dalla centrale elettrica usata come inceneritore dei residui della lavorazione dei prodotti chimici (fenolo e stirolo), sono stati l’oggetto del continuo ricatto messo in atto nei decenni insieme a quello occupazionale. La solita tiritera: mettere in atto attività di bonifica e di azioni a tutela dell’ambiente e della salute umana significa aumentare i costi di gestione e perdere competitività. E intanto la politica ci dice che, è necessario scegliere il male minore ed ecco che, “per salvare i posti di lavoro e migliorare l’ambiente”, viene autorizzata la costruzione del turbogas Enipower Mantova, che incassa profitti milionari ma che, pur essendo controllata ENI come Versalis e Syndial e pur operando nello stesso sito, è una società diversa e quei profitti non “serviranno” per la soluzione dei problemi del territorio.

Nei vari passaggi societari, dalla Montecatini fino alle attuali Syndial, Versalis e Enipower, tutti si sentono sollevati da ogni assunzione di responsabilità, preoccupati a mettere in atto azioni solo apparentemente a difesa del territorio (la tutela dei posti di lavoro) con la promessa di investire, poi, a tutela della salute e dell’ambiente, ma che mirano ad aumentare i profitti, vampirizzando quel territorio, per poi spostarsi altrove o “ridefinire gli assetti societari”, “tagliare i rami secchi”, o invocare nuove liberalità.

Bisogna guardare in faccia la realtà, a maggior ragione dopo questi anni di mazzate prese da chi lavora. Con scuse più o meno suggestive vengono chiuse fabbriche e distretti produttivi; il problema è sempre “il costo del lavoro” o “il bilancio in rosso” perché in questa fase “di soldi non ce ne sono” e intanto immense somme di denaro vengono spostate come i carri armati del Risiko su territori dove poter incrementare indiscriminatamente il proprio profitto. Questa è una strategia di annientamento che colpisce i lavoratori, la produzione e l’ambiente. Noi lo chiamiamo da anni “capitalismo straccione”, in attesa che qualcuno ci contraddica e possa parlare di “serietà, attenzione allo sviluppo e all’ambiente” della classe imprenditoriale senza rendersi ridicolo. Da vent’anni prosegue senza sosta un pericoloso binomio di delocalizzazioni e dismissioni di capitale pubblico che sta asportando gli organi vitali dell’economia di questo Paese e della nostra città. Piccoli gruppi di azionisti, manager e padroni brindano ai loro guadagni, mentre la maggior parte della popolazione subisce tutto il peso della crisi.