PROCESSO PESCI: A MANTOVA LA MAFIA C’È

21766765_1689765314399117_8500159465119029713_nLa sentenza di Brescia del processo “Pesci” ha confermato un sentore che molti cittadini avvertono da tempo:  a Mantova la Mafia c’è.

Esiste e prospera da decenni, nonostante l’ex sindaco Sodano dichiarasse “di non sentirne il profumo”: gli intrighi sempre più evidenti tra cattiva economia e cattiva politica attirano le mafie che, come un male, trovano gioco facile nell’ infettare il corpo vivo della società. Gli esempi di questo rapporto politico-economico, limitandoci solo alla città capoluogo, non mancano di certo: dalla speculazione CoopSette/Esselunga a Porta Cerese alla devastazione di Piazzale Mondadori passando per la privatizzazione di Tea Acque. Troppe volte abbiamo visto le amministrazioni di centrosinistra e di centrodestra rinunciare al loro ruolo di espressione delle comunità locali per favorire gli interessi privati di pochi; in questo cedimento della democrazia e della partecipazione davanti al profitto, le mafie trovano terreno fertile. La magistratura ha fatto il suo lavoro, dimostrando che gli anticorpi esistono ancora, ma non è abbastanza: la voce dei cittadini si è fatta sentire, benché spesso frammentata o ondivaga, e la politica spesso è rimasta in silenzio o ha balbettato in modo poco deciso.

È evidente a tutti l’enorme fattore di rischio di diversi appalti, cantieri edilizi e grandi opere di ieri e, purtroppo, di oggi. Per combattere le mafie, tutte le mafie che distruggono il territorio, non bastano le sentenze della Magistratura, ma  serve la partecipazione attenta e indignata di tutte e tutti per colmare i vuoti lasciati dalla politica, riconquistare i beni comuni e far valere gli interessi dei cittadini e dei lavoratori.

GRAND MANTOVA HOTEL?

mantova hotelDopo anni di illusioni turistiche, abitative e commerciali, Mantova si è svegliata con l’ingombro di cemento e cantieri abbandonati

Mantova i suoi giganti li ha già, splendidi, nella grande sala di Palazzo Te; non ha bisogno di altre idee di gigantismo. La proposta del sindaco Palazzi, che vorrebbe un grande hotel da 100 stanze, appare fuori misura per il territorio in cui si vuole collocare ed anche datata.

Che la voce turistica possa rappresentare per l’economia territoriale un motore di sviluppo è assodato, il problema è stabilire come possa essere concretizzato. Le strutture ricettive del nostro Paese hanno, in media, 32,4 camere, la media Ue è 31,2, in Francia gli alberghi hanno 36,5 stanze, mentre nel Regno Unito meno di 20. Se l’obiettivo del Sindaco è quello di portare a Mantova un turismo di massa, è stata fatta una valutazione dell’impatto sulla città e soprattutto, se questo sia il modello più gradito a turisti e cittadini?

Non siamo certo solo noi ad affermare la crisi del turismo di massa, questo non solo per la contingenza economica, ma per la fine di un modello cominciato cinquant’anni fa in parallelo con l’esplosione edilizia. Il turista è cambiato, grazie alla diffusione delle nuove tecnologie, alla post globalizzazione, alle piattaforme sociali, ma soprattutto grazie all’idea che la vera esperienza passa da un rapporto esclusivo con i luoghi visitati.

E questo è anche il turismo che più si addice al territorio mantovano, con le sue grandi ricchezze artistiche, ambientali e gastronomiche, le sue fragilità e la necessità di valorizzare l’esistente proprio in questo approccio culturale nuovo, che arricchisce il visitatore ma anche chi lo ospita. L’equilibrio di sviluppo economico, sostenibilità ecologica e benessere sociale fa riferimento a un turismo “dolce”, a basso impatto ambientale, capace di valorizzare la cultura e i saperi locali e creare opportunità di reddito. La ricchezza diffusa, sia essa culturale o economica, rappresenta uno degli aspetti rilevanti di questo progetto turistico, a condizione che venga organizzato con interventi condivisi, integrati e partecipati, con interventi leggeri, a rete, soprattutto nella logica dell’ospitalità diffusa, non certo nella logica di un gigantismo turistico che favorisce altro, distante dai territori e da chi li vive.

Il turismo rappresenta un enorme affare, un flusso di persone impensabile fino a pochi anni fa: per chi, da chi e come vogliamo venga gestito questo affare? A forza di illusioni turistiche, abitative e commerciali, Mantova si è svegliata con l’ingombro di cemento e cantieri abbandonati. Pensiamo ad un piano organico e integrato che riempia le strutture rimaste abbandonate, e sappia offrire soluzioni base (camping e ostelli) di cui la città è sprovvista; è necessario un ragionamento integrato che coinvolga operatori, cittadini e l’intero territorio.

MANTOVA: AMMALATA DI CEMENTO E BARACCONI COMMERCIALI

frankensteinOperazione Frankenstein per innestare un supermercato sul disastro edilizio di piazzale Mondadori

La città e il territorio mantovano sono infetti da un male oscuro che passa dalle strette di mano tra politica ed economia privata e corrode la società, il lavoro e il territorio. Un tumore fatto di migliaia di alloggi sfitti, cantieri abbandonati e un numero fuori controllo di strutture commerciali.
Abbiamo denunciato in piazza, sui media e anche con azioni dirette in Consiglio Comunale l’enorme disastro di Piazzale Mondadori che ha portato alla svendita dell’autostazione nel 2005, alla follia delle pensiline passanti e alla cancellazione di centinaia di posti auto gratuiti sostituite da un parcheggio privato. Un buco nero all’interno della città che ancora oggi “sembra” non avere responsabili politici o economici, quasi fosse piovuto dal cielo. Inoltre non è ancora chiaro che fine abbiano fatto i 27 milioni di euro in prestiti che MPS ha “buttato” in quel progetto, né i rapporti tra i vertici della banca senese con Antonio Muto.
Abbiamo contrastato in prima linea i piani del centrodestra per un nuovo insediamento commerciale a Porta Cerese sulle ceneri del fallimento del vecchio “affare” Palasport – Palabam – Coopsette del centrosinistra. È chiaro a tutti che sei ipermercati, sette strutture medie e due centri commerciali sono troppi per una piccola città, senza poi contare l’hinterland; un nuovo baraccone commerciale significherebbe un colpo durissimo al  tessuto commerciale cittadino medio-piccolo necessario alla vita dei quartieri.
La proposta “Frankenstein” di paracadutare un supermercato Esselunga su piazzale Mondadori è figlia di una idea di città in svendita, ammalata di cemento e carrelli, che va combattuta con forza. Se dal Comune di Mantova arrivano rassicurazioni “entusiastiche”, noi crediamo che la toppa sia peggiore del buco: nuovo cemento commerciale in zona centrale, ulteriore traffico (anche di tir) in un punto già congestionato e l’alta probabilità che per qualche decina di posti di lavoro precari se ne polverizzino altrettanti all’interno del tessuto commerciale cittadino.

Ancora si vendono per nuove idee vecchie. Ancora una volta ai cittadini viene negata la possibilità di esprimersi sulla sorte di un’importante pezzo di città. La soluzione ai problemi di Mantova non dipende dalle offerte dell’impresa privata, bensì dalla volontà e dalle scelte politiche. Un piazzale Mondadori ripensato come spazio e come utilizzo pubblico all’interno del tessuto urbano e non come supermercato, così come la fine del modello “cemento e carrelli” degli ultimi dieci anni, rappresentano una vera opportunità di cambiamento. L’interesse pubblico, il bene comune e la partecipazione devono tornare ad indicare la via: a meno che non si considerino i cittadini che vivono e che lavorano in un territorio come semplici consumatori da abbindolare con offerte al ribasso.

Roncoferraro: scritte neonaziste contro i richiedenti asilo

ausLa guerra tra poveri la vincono sempre i ricchi e i loro burattini. Disinneschiamola!

A Casale di Roncoferraro a giorni arriveranno 15 richiedenti asilo. Nonostante il lavoro di informazione e di rassicurazione messo in atto dal Comune, c’è chi è già pronto a soffiare sulle paure dei trecento abitanti della frazione. Sul muro dell’ex ristorante che diventerà casa per questa decina di persone è comparsa una inquietante scritta in tedesco. I soliti neonazisti che usano la guerra tra poveri per giocare alla “razza pura” aiutando quel sistema che fingono di contrastare.

Abbiamo denunciato più volte, e non smetteremo di farlo, l’esistenza di un sistema di speculazione e sfruttamento sulla questione immigrazione. Il “sistema di accoglienza” è allo sbando per la sua stessa natura: uno Stato che vive di emergenze e che “esternalizza” ad enti privati la gestione delle vite di migliaia di richiedenti asilo è uno Stato fallimentare. Sono diversi ormai i casi di “finte cooperative” che con questa situazione hanno risanato i propri debiti e che sfruttano il lavoro di operatori e operatrici; sono magari gli stessi enti “caritatevoli” che per farsi una faccia presentabile poi trovano qualche lavoretto a voucher per gli ex-richiedenti asilo o mettono in piedi feste (multi)etniche, magari sfruttando la generosità di realtà solidali del territorio. In poche parole, solo qualche briciola di tutto questo arriva in tasca ai capri espiatori di questa macchina infernale che, pare quasi vero, sembra architettata per creare fratture sociali alimentate da media complici e politici sciacalli.
La scritta in tedesco “via gli stranieri” apparsa nel territorio di Roncoferraro mostra esattamente chi è il burattino  del nemico: i neonazisti e i loro simili che quando attaccano a parole il “business dell’immigrazione” puntano solamente a fomentare odio nei confronti dell’ultimo anello della catena politico-economica.
La crisi economica, sociale e politica sta però colpendo in egual modo lavoratori italiani e stranieri, i disoccupati, i pensionati etc. Per contrastare neonazisti e forze “democratiche” che inneggiano ad espulsioni di massa giocando con le paure delle persone, serve un cambiamento radicale dell’esistente, a partire dalle sicurezze sociali: lavoro, diritti, sanità, istruzione, beni comuni e democrazia; parole che suonano eretiche in questo sistema ingiusto e corrotto. Solo con la giustizia sociale possiamo disinnescare la guerra tra poveri.

IL PASTICCIO DEL PALASPORT DI BORGOCHIESANUOVA

borgoc2018Una brusca accelerazione amministrativa cancella definitivamente le belle parole di “partecipazione” e “progettazione condivisa”, e non elimina i dubbi sull’utilità del progetto

Poco più di un anno fa l’amministrazione comunale di Mantova sosteneva le ragioni del nuovo Palasport che doveva prendere il posto della “palestra” voluta dal centrodestra, parlava di tempi rapidi di realizzazione e di un percorso di progettazione condivisa con i cittadini.
Le bugie hanno le gambe corte e, tra errori burocratici, adesso si va verso una corsa contro il tempo per mettere nero su bianco con i costruttori e realizzare (non prima però del 2018) un palasport nell’estrema periferia della città, dove le speculazioni edilizie hanno già sottratto suolo per realizzare il “quartiere fantasma” di Borgonuovo.

Il raggruppamento di professionisti mantovani costituito da Soprint, si è aggiudicato il bando di gara per la progettazione per 88mila euro (112.542,37 euro totali) per un Palasport da 500 posti che toglierà altro verde alla città e costerà in totale 2.300.000 euro a carico del Comune di Mantova; il tutto in una zona già identificata (diversamente da quanto spiegato ai cittadini dall’Amministrazione).Nel frattempo una immensa struttura come il Palabam, costruito a suo tempo dal centrosinistra per essere la “casa dello sport mantovano” è una struttura a conduzione privata che ospita concerti, serate di festival e fiere di settore.

Centrodestra e centrosinistra considerano da anni Mantova la città del cemento, e la triste vicenda del Palasport di Borgochiesanuova è solo l’ultimo esempio. Tra isole galleggianti, passeggiate flop di propaganda e annunci vari, gli interessi dei costruttori e dei privati continuano a venire prima di quelli dei cittadini: è necessario cambiare rotta.

Esselunga: per Mantova un film già visto

carrellonebbiaViviamo tutti in una città che ha già pagato il prezzo di un gigantismo commerciale fuori controllo: catene commerciali, costruttori e amministratori pubblici si sono trovati d’accordo per anni, ma adesso la realtà è una barzelletta che non fa più ridere.

Nel territorio del Comune di Mantova ci sono già sei ipermercati, sette strutture commerciali “medie” e due centri commerciali; nonostante le chiacchiere da bar sulla egemonia “coop”, vince la Conad con un ipermercato a Lunetta e due strutture medie. Allargandosi all’hinterland della “Grande Mantova” un calcolo riduttivo conta qualcosa come altri sei ipermercati e due centri commerciali. Troppo per una città di 47.000 abitanti e un hinterland di poco sopra le 100.00 unità. E prosegue il contestato piano “Ghisiolo Est” che dovrebbe portare ad un nuovo centro commerciale a ridosso del già esistente “La Favorita”. Aggiungendo a questi dati la drammatica fase di crisi economica, la sola proposta di un nuovo grande ipermercato a Porta Cerese risulta una follìa insensata.

Tre anni fa ci furono forti proteste di comitati e associazioni per contestare questo progetto voluto dal centrodestra di Sodano: ci impegnammo concretamente in azioni e contro-inchieste per smontare la narrazione “da fiaba” sul nuovo ipermercato Esselunga perché l’interesse del privato non può ledere il bene comune dei cittadini. Contro questo progetto nel 2013 venne anche presentato un ricorso al Tar voluto dal Partito Democratico e presentato pubblicamente dal capogruppo Buvoli, oggi Assessore nella giunta Palazzi. Proprio l’attuale Sindaco e l’Assessore al Bilancio erano consiglieri del partito al potere nel 2004 quando questa storia ebbe inizio con la svendita dell’ex palazzetto a Coopsette per costruirci una coop: oggi che Sodano non c’è più cambiano ancora idea e tornano ad essere possibilisti sull’ipermercato Esselunga.

Un palasport a Borgochiesanuova, nuovi baracconi commerciali, aumento dei parcheggi a pagamento, promesse di nuovi “boulevard” (ieri via Visi, oggi corso Vittorio Emanuele) e le meravigliosi luci delle Pescherie. Tra un intervento che piace, un altro un po’  meno e il silenzio colpevole di troppi sembra il remake di un brutto film di dieci anni fa che i mantovani hanno già vissuto. Davanti a tutto questo, l’interesse pubblico, il bene comune e la partecipazione devono tornare ad indicare la via alla politica, anche per il contestato progetto Esselunga: a meno che la categorìa pubblica dei cittadini, che vivono e che lavorano in un territorio, non sia stata definitivamente sostituita da quella dei consumatori da abbindolare con offerte al ribasso.

Non ci basta una stazione “open space”

openspaceLa recente scelta del Comune di Mantova di “risolvere” il “problema degrado” dell’autostazione passante di viale Risorgimento facendo sparire quest’ultima, è la classica toppa peggiore del buco. 25mila euro è la somma che via Roma e Apam metteranno a disposizione per il nuovo progetto di eliminazione del corpo centrale della stazione passante e le pareti in modo da creare uno spazio aperto simile a quelli già presenti in viale Piave e viale Pitentino. Un progetto di riqualificazione improvvisato e stimolato da due esigenze: l’ennesima raccolta di firme “contro il degrado” da parte dei cittadini della zona e le imminenti elezioni amministrative. Mantova rimane saldamente il secondo capoluogo di Provincia in Italia senza una autostazione centrale e forse l’unico in cui le necessità dei pendolari sono continuamente ignorate.

Quello delle stazioni passanti, è stato un progetto nato sbagliato durante la grande operazione speculativa di “Piazzale Mondadori”, quando l’autostazione principale venne smembrata per fare posto ad un cantiere infinito che, dopo quasi dieci anni, è ancora lì a dimostrare il degrado della politica mantovana. Il progetto della mini-stazione passante di viale Risorgimento con biglietteria, sala d’aspetto e bagni, fu avversato fin da subito dai residenti. Dalla sua inaugurazione nel novembre 2007, passarono pochi anni prima che questa venisse chiusa in seguito a diversi episodi di vandalismo. Periodicamente i casi di micro-criminalità hanno spostato il centro del problema dalla viabilità/trasporto pubblico locale a quello del “degrado urbano”, facendo dimenticare il fatto che una stazione funzionante e servizi efficienti sono il miglior antidoto a situazioni critiche. Spaccio e bullismo hanno rimosso l’idea che la stazione di viale Risorgimento è stata abbandonata in mezzo ai continui tagli di risorse per il trasporto pubblico e ai rincari dei costi per i pendolari e per le famiglie degli studenti. Il tutto all’interno di un discutibile progetto che ha buttato pensiline di cemento in giro per la città senza un vero piano strategico che guardasse alla sua sostenibilità urbanistica, ambientale, estetica ed alle esigenze degli utenti: come ad esempio la stazione passante dell’Itis/Vinci che dal progetto sulla carta è stata invece ridotta ad una striscia di cemento.

Una scelta coraggiosa sarebbe quella di fare della stazione di viale Risorgimento un presidio sociale che offre servizi, non solo per i pendolari, in modo da incontrare le esigenze di una importante fetta di popolazione, ma per farlo serve una volontà politica che in questa città manca. Inoltre, chi sbaglia deve pagare e non è possibile sopportare l’accanimento contro gli episodi di micro-criminalità mentre c’è una classe politica che in dieci anni ha distrutto la città e continua ad autoassolversi.

Guerra tra poveri

biscottiIn giro c’è una puzza pericolosa: è l’odore della guerra tra poveri che si diffonde tra la popolazione. La alimentano un buonismo miope che nasconde difficoltà e contraddizioni e, soprattutto, le sparate di chi soffia sul fuoco dell’insicurezza sociale delle persone. Proprio in questi mesi partiti e piccoli movimenti xenofobi hanno ottenuto una straordinaria visibilità mediatica, sfruttando a proprio vantaggio queste insicurezze, con lo scopo di diffondere paura e dare risposte semplicistiche ed inquietanti ad un popolo abituato a prendersela con chi sta peggio senza disturbare il manovratore.

Da un lato il sistema economico e politico che per mettere sotto scacco i lavoratori italiani ha creato migliaia di nuovi schiavi immigrati e li ha sbattuti a vivere nelle periferìe delle città, controllando questo modello di propaganda; dall’altro una diffusa ignoranza di chi è pronto a credere a tutto, accettando proprio questo modello. Dalla Lega Nord al Pd la classe politica ha tradito i cittadini, devastato i territori e abbandonato i quartieri e lo ha fatto mentre precarizzava le condizioni di vita e di lavoro di italiani e immigrati; proprio questi ultimi, diventano il capro espiatorio per tutti i mali della società. Milioni di lavoratori immigrati che vivono e lavorano onestamente in Italia spariscono dalle cronache lasciando spazio solo alle notizie di reati. Nonostante gli stranieri in Italia siano a larga maggioranza cattolica/ortodossa si continua a parlare di invasione islamica. Si arriva anche a parlare di case popolari date solo a immigrati quando, dati alla mano, la realtà è diversa: le case popolari, quando gli assessori alla casa non vanno in galera (vedi il caso Zambetti in Lombardia), vengono vendute ai privati e quelle che restano, secondo le fasce Isee su reddito/componenti famigliari, vengono divise tra chi ne ha bisogno senza criteri di nazionalità.

L’alzarsi della tensione mediatica e politica non è dunque casuale: tra i lavoratori e i disoccupati (italiani e non) negli ultimi mesi c’è stato un risveglio, una nuova consapevolezza che indica una politica corrotta ed un sistema economico ingiusto come i colpevoli della crisi e d’incanto spuntano nuovi allarmi e burattini come Salvini ad intasare tutte le trasmissioni radio-televisive per distogliere l’attenzione e alimentare nuove contrapposizioni. Per questo, insieme alla crisi, dobbiamo combattere anche la guerra tra poveri: ogni giorno politici da strapazzo indicano i “nemici” da combattere, mentre da dietro banchieri, grossi imprenditori e speculatori ci scippano soldi, lavoro, sanità, istruzione, ambiente e la nostra stessa dignità. E allora noi dobbiamo darci da fare per togliere il sonno a chi ci vorrebbe divisi e rassegnati: non avendo più paura, unendoci a chi sta nella nostra condizione e riprendendoci tutto quello che ci stanno portando via. Davanti a questa sfida noi non ci tiriamo indietro: che si tratti di solidarietà attiva, di sostegno ai lavoratori o di strappare un quartiere a isolamento e degrado sociale, ogni nostra iniziativa rivendica già un’idea di società e di politica radicalmente diversa da quella prospettata da Renzi, Salvini, Squinzi e Marchionne unitamente a tutta la cricca di profittatori che ha devastato Mantova e l’Italia.

Expo Mantova: arresti, palloni gonfiati e il “museo del maiale”

expoburgoPurtroppo non è uno scherzo: un museo del maiale in 3D sarà realizzato nelle cantine di Palazzo Ducale per Expo 2015.

Trecentomila euro messi a disposizione dalla Camera di Commercio e dalla Regione Lombardia (l’assessorato di Fava come avevamo preannunciato nella nostra inchiesta). Una operazione culturale di dubbio gusto proprio in un momento in cui la cultura e i musei mantovani soffrono la mancanza di fondi, idee e competenze non clientelari. Così come di dubbia utilità sarà la mongolfiera del padiglione galleggiante di Expo.

Solo una settimana fa una nuova ondata di arresti nell’ambito dell’inchiesta della procura antimafia di Milano sugli appalti per Expo ha portato in carcere anche un imprenditore mantovano.
Denunciamo da tempo i rischi legati alle grandi opere come Expo e alla corruzione, mentre tutti incensano Expo 2015 come “un volano per il rilancio dell’economia italiana”: una economia che da noi significa crisi, delocalizzazioni, fabbriche chiuse e crisi aziendali che negli ultimi mesi hanno falciato centinaia di posti di lavoro.

Mentre a Milano si ipotizza l’allestimento di un padiglione Expo presso il carcere di San Vittore, noi qui a Mantova potremmo far sventolare un maiale gonfiabile sulla cartiera Burgo chiusa: a parte citare i Pink Floyd, sarebbe la provocazione adatta per un modo “bestiale” di fare politica, cultura e impresa.

Prima giornata #NOEXPO a Mantova

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EXPO 2015: l’ennesima truffa fatta di cemento, debito e precarietà utile solo alla spartizione di immense risorse pubbliche tramite gli appalti alle clientele imprenditoriali legate ai partiti. Noi non lo accettiamo! La nostra giornata NOEXPO è iniziata alla mattina con un presidio-volantinaggio in piazza Mantegna: moltissime sono state le persone di tutte le età che si sono fermate incuriosite ad ascoltare ciò che veniva spiegato al megafono o a leggere il volantino che stavamo distribuendo, mentre molte altre hanno espresso sostegno alla protesta.

Abbiamo cosi fatto capire a Maroni, Fava, Sodano e a tutti i politicanti che ieri erano presenti in piazza Erbe a pochi metri dal presidio, che Mantova non accetterà in silenzio il debito, il cemento e la precarietà che vogliono imporci con la scusa di EXPO. Vogliamo invece lavoro, la tutela dell’ambiente e del paesaggio e un drastico potenziamento dei servizi pubblici.

La nostra protesta non si è però limitata alla mattina: ieri sera ci siamo presentati al concerto di Van De Sfroos (evento legato all’EXPO-tour) muniti di cartelli luminosi per comporre la scritta NO EXPO che abbiamo poi sollevato sucitando la curiosità del pubblico presente.

Nei prossimi giorni pubblicheremo un primo dossier-inchiesta per approfondire ancora di più il tema di EXPO e il filo di cialtroneria che lega la politica mantovana alla “grande esposizione”.

noexpo

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Di seguito la versione estesa del testo contenuto nel volantino distribuito domenica mattina in piazza.

EXPO 2015: nutrire il pianeta o le tasche di pochi?

Le cronache e le inchieste giudiziarie degli ultimi mesi hanno rivelato un quadro di corruzione e malaffare che lega tra loro mega-eventi e grandi opere: dal Tav al Mose, dalla ricostruzione post sisma de L’Aquila fino ad arrivare a EXPO 2015.

È ormai chiaro che dietro le belle parole sui temi dell’EXPO e sulle prospettive di sviluppo e rilancio dei territori si nascondono grandi interessi economici per pochi: strade, case, centri commerciali, poltrone in Spa, visibilità per i politici e ingenti finanziamenti pubblici. Non siamo davanti a poche mele marce, ma ad un collaudato sistema di potere economico e politico che continua ad arricchirsi anche in piena crisi: centrodestra e centrosinistra, tutti dentro con le proprie “clientele” imprenditoriali. A completare il quadro i migliaia di posti di lavoro promessi si traducono per lo più in stage sotto pagati e volontariato, ossia lavoro a gratis e sfruttamento.
Milano, la Lombardia e Mantova: realtà proiettate verso Expo2015.

Su Expo per fortuna il sistema economico e politico mantovano è in ritardo come i treni della Mantova-Milano, ma un po’ tutta la politica sembra entusiasta e pronta a saltare sul carro della manifestazione. Cosa succederà dato che ci sono in ballo fondi pubblici e privati per una serie di progetti (al momento però inesistenti o campati per aria) legati a Expo 2015? 320 mila euro verranno spesi per il “padiglione galleggiante”, l’inutile piattaforma-simbolo della partecipazione di Mantova alla grande esposizione milanese. Tutto questo mentre viene ripetuto che non ci sono soldi per i disoccupati, si aumentano le tasse e si taglia su scuola e sanità.

La sintesi del nuovo modello di società che ci aspetta si regge su tre pilastri: debito, cemento e precarietà in quantità sempre crescenti, e di questo Expo diventa simbolo, attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche per profitti privati. Non solo. Dietro lo slogan vuoto “nutrire il pianeta” si confermano quelle politiche agroalimentari che negano accesso al cibo e all’acqua, impongono OGM e SISTEMI alimentari utili solo alle multinazionali, tra i primi sponsor di Expo 2015. Un altro dei maggiori finanziatori del mega-evento mostra in questi mesi il suo vero volto: lo Stato israeliano, che quest’estate ha bombardato e devastato Gaza facendo strage della sua popolazione.

Tocca a noi tutti smontare e rompere il meccanismo di Expo per il carattere nazionale dei processi che Expo nasconde: la devastazione, il saccheggio e l’impoverimento dei territori. EXPO arriva, devasta e passa, mentre noi viviamo e presidiamo in modo permanente il territorio con pratiche, partecipazione e alternative concrete.